Senza titolo.
di Mariolina Cosseddu
In un momento in cui, in arte, ogni mezzo espressivo è legittimo e la carta vincente sembrano giocarla le contaminazioni, i mixages, i prestiti di genere e le forme spurie, la fotografia si rivela uno dei linguaggi più difficili e pericolosi, costantemente su un crinale scivoloso, in bilico tra la perdita di autonomia e la vocazione a rivendicare il proprio specifico. Che la fotografia sia, comunque, uno degli strumenti che hanno contribuito a rivoluzionare la rappresentazione del contemporaneo è indubbio, soprattutto quando si muove su un piano di ricerca artistica che ne rivela le infinite potenzialità estetiche e concettuali. In questo contesto si inscrive il lavoro di Pierluigi Dessì, fotografo singolare e raffinato che usa l'obiettivo in maniera duttile ed intellettiva e le cui operazioni visive sono, in primo luogo, ricercati ideogrammi della creatività e dell'immaginario. Solito lavorare su temi e situazioni offertegli dalla committenza, orienta il proprio intervento su basi comunicative di forte impatto sensoriale in cui la concettualità si traduce in pura visibilità. Ma ama anche orchestrare composizioni dove i dati reali si organizzano in visionarie scenografie, stralunate e ironiche, spiazzanti e incredibilmente convincenti. Alla radice di ogni intervento si legge, in controluce, una progettualità meticolosa, un'indagine sofisticata, un azzeramento delle nozioni per dar vita ad assunti mentali che propongono l'eterna dialettica tra apparenza e realtà. Così, l'immagine fotografica pensata per questa mostra. Nessun titolo, nessun costrutto di parole. L'immagine vive in uno stato di sospensione, di attesa, di divenire. Il bianco assoluto dello spazio, in cui la luce si muove con sensibilissime ed impercettibili variazioni annullando le ombre e saturando la visione, esalta la figura della donna, il cui leggero volgersi verso un punto indeterminato costringe lo sguardo a scivolare circolarmente senza posa. Collocata sulla soglia tra visibile e invisibile, tra finito e infinito, tra realtà effettuale ed immagine enigmatica, la figura svela, lentamente, la sua natura metafisica e il suo carattere allegorico. Se il vino e il pane sono simboli certi della vita e della salvezza, l'immagine femminile non può che rivelarsi personificazione di un sentimento che si alimenta di vita e salvezza e che non può non essere speranza di consolazione. Nell'estremo rigore formale, nel misurato equilibrio dei toni, nella lirica essenzialità visiva, l'immagine offre, senza artifici retorici, la pienezza delle emozioni più profonde.
La foto è stata realizzata espressamente per la mostra collettiva "Il fuoco di Abramo, percorsi di speranza" nell'anno 2006.