Obiettivo soggettivo
20 anni di Monumenti Aperti a Cagliari
Con toni posati e precisi Guido Guidi – architetto di formazione e fotografo di elezione spiana subito il campo della nostra riflessione e ammette che no, la fotografia d'architettura non esiste. Esiste la fotografia ed esiste l'architettura. Punto.
Poi magari si incontrano, dialogano, convivono. Ma sono percorsi inventati, viaggi consenzienti. Sono tentativi di funzionamento, conoscenza, permanenza.
Conversazioni infinite.
Negli anni la fotografia ha cercato di trovare un suo tono all'interno di questo dialogo; un tono alle volte prevaricante, altre sottomesso rispetto al discorso in prima persona singolare dell'Architettura che cambia il volto del mondo e sfida i tempi dell'uomo.
Ogni periodo ha avuto un suo timbro specifico, ha risposto alla richiesta della politica, della moda, della società.
Il tono scelto da Pierluigi Dessì è quello della conversazione pacata. Anzi, no. A voler essere precisi in questo caso il fotografo si pone in una condizione di ascolto totale, pronto ad assorbire e conservare ogni racconto, aneddoto, rivelazione l'architettura voglia concedere.
La scelta di Dessì di profonda umiltà davanti alla struttura e opera secondo una metodologia che sa essere precisa e costante nel tempo: muoversi in levare, asciugare le aspettative e le azioni. Un pellegrinaggio silenzioso e costante nei luoghi di una città che sua per nascita e scelta. Una tappa ad ostacoli, un processo di demolizione in cui smantella ogni preconcetto acquisito nel tempo e si offre totalmente allo scatto.
Propone una visione lucida, attenta, funzionale, fatta di discrezione, di silenzio, di attesa, quasi. Quello che compie con il suo strumento di lavoro è un viaggio a ritroso nel tempo, fin quasi alle origini della fotografia per realizzare un'immagine ben pensata prima ancora che ben fatta e ritrovare quell'assoluta capacità di visione non concessa all'occhio umano ma che l'obiettivo pratica con precisione chirurgica.
Non ricalca dunque un ruolo sociale, non indugia nella ricerca antropologica o nella rivelazione da reportage.
Si presenta invece come una fotografia documentaria assolutamente offerta al bene storico. Risposta ad una necessità documentativa non per ottusa registrazione e metodica raccolta dati, ma che esprime una conoscenza profonda dei luoghi, un'intima frequentazione che va oltre il semplice studio. L'esperienza che si condivide con questi scatti, la sensazione sfacciata, impudica, di spogliare ogni pietra dalla noia dei giorni, di cogliere ogni struttura in tutta la sua potenza di visione rivelata.
Edifici ripresi nel loro contesto più ampio, in una narrazione urbana e non sterilmente estetica. Pacate ma non mute, ferme ma non immobili, queste immagini
fremono del lavorio del tempo, offrono il senso dell'accumulo delle storie, l'addensarsi delle vite che questi edifici hanno osservato, imperturbabili. Ogni scatto racconta i
retroscena di una biografia e tenta di svelare la dimensione umana della creazione. Raramente abbiamo incontrato un Nivola così terreno e quotidiano come in questa
“immagine domenicale” con facciate colorate e panni stesi come sfondo.
Ci sono i palazzi popolari che sembrano chiacchierare con le colonne della Villa di Tigellio e lo squarcio di luce e di attesa delle vie di Castello.
C'è la scalinata della chiesa di Sant'Anna che sembra una rivelazione con questa facciata vestita di una luce calda e Palazzo Fois che ha una sorta di grazia timida. Sono scatti
semplici, questi, eppure fondamentali perché ci rammentano lo stupore per la bellezza che ci accompagna quotidianamente, che ci circonda e protegge.
Esiste l'architettura, dunque, che modifica lo spazio e sfida il tempo.
Ed esiste la fotografia. E sono due cose separate, vero.
Ma dal loro incontro possono nascere racconti meravigliosi.
Sonia Borsato